Italiani all’estero: A tu per tu con Stefano Chesi.

Partire, mettersi in gioco, crescere e riscoprirsi attraverso il confronto con realtà diverse: è questo il filo conduttore della storia di Stefano Chesi, un cavaliere italiano che ha trovato nel dressage la sua strada professionale e personale. 

Dalla Maremma ai grandi centri equestri della Germania e dell’Olanda, passando per l’Australia, il suo percorso è un intreccio di passione, dedizione e ricerca di crescita continua. Stefano ha saputo trasformare ogni esperienza in un tassello fondamentale per costruire la propria carriera, mantenendo sempre un legame profondo con i valori tradizionali dell’equitazione.

In questa intervista, Stefano condivide con noi le sue esperienze, le sfide affrontate nei diversi paesi in cui ha vissuto, e la sua visione  sul mondo del dressage

  1. Ci racconti un po’ di te: da quanto tempo pratichi equitazione?
    Ho iniziato a praticare equitazione vera e propria intorno ai 18-19 anni. Prima di allora, facevo solo passeggiate a cavallo. Terminata la scuola, a 18 anni mi sono trasferito per lavorare in un agriturismo della tradizione maremmana, specializzato in spettacoli equestri. Qui ho avuto l’opportunità di approcciarmi sia alla monta da lavoro che al dressage.
  2. Come ti sei avvicinato al mondo del dressage?
    Dopo quell’esperienza iniziale, ho trovato un annuncio su una rivista equestre: cercavano un groom per un mese in Germania presso le scuderie di Alessandro Alemani. Ho deciso di candidarmi e sono partito. Quel mese si è poi trasformato in due anni e mezzo. È stato lì, a 19 anni, che ho avuto il mio primo vero approccio con il dressage.
  3. Cosa ti ha spinto a scegliere il dressage come disciplina principale?
    Mi sono appassionato al dressage perché mi affascina moltissimo il lavoro di addestramento. In Germania ho avuto la fortuna di conoscere questa disciplina da zero, imparando le sue basi. Inoltre, ho un’altra grande passione legata al mondo dei cavalli, ma il dressage è ciò che mi consente di vivere questa passione a livello professionale, mentre l’altra rimane un hobby. Possiamo dire che il dressage rappresenta il mio lavoro e il mio sport.
  4. Quali sono stati i tuoi maggiori successi a livello agonistico fino ad oggi? A livello agonistico non ho avuto modo di ottenere molti risultati di rilievo, principalmente perché ho lavorato per molte persone e proprietari diversi. Questo significa che, a parte il mio cavallo personale, non ho mai avuto la possibilità di seguire gli stessi cavalli per un periodo prolungato. Ho comunque partecipato a numerose gare nazionali, soprattutto con cavalli giovani, e ho avuto la fortuna di competere in campionati in Australia e in gare in Germania.
  5. Quali sono stati i cavalli più importanti per te ? C’è un cavallo con cui hai avuto un legame speciale? Ci sono stati diversi cavalli che ho considerato importanti nella mia carriera, ma forse il più significativo è il mio unico cavallo di proprietà, che possiedo in società con altre persone e che ho da quando aveva 3 anni. È stato, senza dubbio, il cavallo più difficile che abbia mai montato, ma anche quello che mi ha lasciato di più in termini di crescita personale ed esperienza.
  6. Hai accumulato molta esperienza all’estero e in Italia nel corso degli anni. Ti andrebbe di raccontarci le tue diverse esperienze e cosa hai imparato da ciascuna di esse?
    La mia primissima esperienza, a 18 anni, è stata fondamentale anche per il dressage, perché mi ha permesso di vivere il cavallo a 360 gradi. Non l’ho vissuto solo come un atleta o come un mezzo per guadagnarsi da vivere, ma come un compagno in ogni senso. Quando sono andato in Germania, ho avuto la fortuna di incontrare una persona con cui condividevo un’affinità caratteriale e una visione dell’equitazione classica che mi appartiene tuttora. Quei due anni e mezzo mi hanno dato una solida base tecnica e una profonda comprensione di questa disciplina. Dopo la Germania, sono finito in Australia un po’ per caso: inizialmente volevo andare in America, ma era piuttosto complicato organizzarsi. È stato allora che un cavaliere, Matthew Dowsley, che conoscevo dai clinic frequentati in Germania, mi ha offerto una posizione nella sua scuderia. Si trattava di una struttura simile a quelle tedesche, con 15 cavalli, e includeva la possibilità di prendere lezioni e ricevere un buon supporto tecnico. Non sono mai stato un grande fan delle grandi scuderie, che spesso somigliano a delle fabbriche, quindi questa soluzione era ideale per me. Dopo l’esperienza australiana, sono tornato in Italia. Ho lavorato per circa un anno presso l’allevamento Fonteabeti, poi sono passato alle Scuderie della Malaspina con Equitago. Ho anche collaborato con alcuni proprietari di cavalli da salto, curandone il lavoro in piano in cambio dell’acquisto di cavalli da dressage per me. Successivamente, per circa un anno e mezzo, ho lavorato in proprio con clienti privati, gestendo cavalli singoli. Nell’ultimo anno, ho preso in affitto una porzione di scuderia, dove tenevo i cavalli di clienti che si affidavano a me. È stata un’esperienza intensa e molto formativa. L’Italia, che ho davvero iniziato a conoscere solo intorno ai 22 anni, mi ha insegnato tantissimo
  7. Dopo il tuo ritorno in Italia, hai deciso di ripartire per l’Olanda. Cosa ti ha spinto a fare questa scelta?Sono ripartito un po’ per caso. Inizialmente ero venuto in Olanda per restare solo un mese, ma le cose si sono evolute e il periodo si è prolungato. Qui tutto si muove molto più velocemente, e il semplice fatto di essere in un paese come l’Olanda fa la differenza: sei uno dei tanti, come un pesce nell’oceano. Questa è una delle differenze principali rispetto all’Italia, dove il mondo del dressage è molto più ristretto. Essendo così pochi, si creano dinamiche che tendono a ripetersi: rischi di perdere di vista il motivo per cui fai certe cose e inizi a farle più per dimostrare qualcosa agli altri. Se ottieni risultati, sei osannato; se sbagli, ci sarà sempre qualcuno pronto a criticarti.In Olanda, invece, tutto è talmente ampio e variegato che questi aspetti non hanno la stessa risonanza. Questo ti permette di concentrarti davvero su te stesso e sul tuo lavoro, senza la pressione costante del giudizio altrui.
  8. Quali sono i tuoi principali compiti nella scuderia in cui lavori? Segui una routine giornaliera oppure le tue mansioni variano di giorno in giorno? Qui in Olanda attualmente lavoro sia per conto mio che in collaborazione con altri. Dal primo dicembre inizierò una nuova collaborazione con una società con sede in America, che qui in Europa si occupa di scouting di cavalli. Questo lavoro è molto interessante perché mi permette di rimanere aggiornato e di mantenere contatti con tante persone del settore, oltre a servire i miei clienti personali. Nell’altra metà della giornata mi dedico ai cavalli dei miei clienti. In genere monto quattro cavalli al giorno, seguendo un programma di lavoro specifico per ciascuno di loro.
  9. Le tue esperienze internazionali ti avranno sicuramente permesso di sviluppare una visione personale sulle differenze di approccio alla disciplina del dressage tra l’Italia e paesi come l’Olanda e la Germania. Quali sono, secondo te, le differenze principali che hai riscontrato? La differenza principale, alla fine, è data dalle persone. In Germania ho trovato un livello altissimo, forse il più alto in assoluto nel mondo del dressage, ma le persone sono spesso più chiuse e riservate, il che rende difficile entrare nel loro ambiente. Al contrario, gli olandesi sono più aperti e accoglienti, il che facilita molto i rapporti professionali e personali. Un altro aspetto riguarda i cavalli: in Germania è più complicato trovare cavalli buoni, mentre in Olanda c’è una maggiore varietà e disponibilità. Tuttavia, se parliamo di equitazione, personalmente non credo ci sia paragone: la Germania, a mio avviso, rimane superiore. Detto questo, anche in Olanda le cose stanno cambiando, e si iniziano a vedere progressi significativi e un livello sempre più alto. Per quanto riguarda l’Italia, sono convinto che non ci manchino i talenti. Il problema, però, è nei numeri e nel sistema. Il numero di praticanti e professionisti è molto più basso rispetto a paesi come la Germania e l’Olanda. 
  10. Quali sono i tuoi obiettivi principali per il futuro? Ci sono competizioni o eventi in cui sogni di partecipare?Sì, a livello agonistico ho sicuramente degli obiettivi. Guardandomi intorno, però, sono sempre più consapevole che gli obiettivi potrebbero essere moltissimi, anche se per realizzarli servono non solo grande talento e dedizione, ma anche risorse economiche significative. Come tutti, il sogno delle Olimpiadi è sicuramente un obiettivo affascinante, ma partecipare ad Aachen sarebbe già un traguardo meraviglioso. Uno dei motivi principali per cui sono qui in Olanda è proprio quello di poter praticare questo sport. Non avendo alle spalle un supporto economico solido o sponsor, l’unico modo per sostenermi è autofinanziarmi, e posso farlo principalmente attraverso il commercio di cavalli, che è anche il motivo per cui sono rimasto qui. Inoltre, ho un progetto futuro che non riguarda direttamente il dressage ma che è comunque legato al mondo dei cavalli. Per ora preferisco non svelare troppo, ma spero di poter condividere di più nei prossimi mesi.
  11. Che consiglio daresti a un giovane o a una giovane che sogna di fare carriera nel dressage? Anni fa avrei detto senza esitazioni: “Andate all’estero per imparare!” Oggi, però, credo che non sia così scontato. Il mio consiglio è che per imparare si può restare anche in Italia, a patto di avere i giusti strumenti: servono cavalli di qualità, che trasmettano le sensazioni corrette su cui costruire il proprio bagaglio tecnico, e istruttori capaci, non necessariamente campioni, ma persone che sappiano insegnare e trasmettere esperienza. L’estero è utile più che altro per ampliare la propria visione, confrontarsi con realtà diverse e avere nuovi termini di paragone, sia positivi che negativi. Se dovessi consigliare un paese, direi sicuramente la Germania, anche se ci sono dei rischi: è facile finire in scuderie dove si lavora tanto ma si impara poco. L’estero offre molte opportunità di lavoro, ma imparare davvero dipende dalla fortuna di trovare il posto giusto. Per questo suggerisco di chiedere consiglio a qualcuno che ha già fatto esperienze simili. In base alla mia esperienza, il posto ideale è una scuderia non troppo grande e non focalizzata sul commercio, ma piuttosto su un lavoro tecnico e formativo. È meglio evitare le scuderie dei grandissimi professionisti, perché spesso non sono mai a casa e l’apprendimento diretto potrebbe essere limitato.

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