Italiani all’estero: a tu per tu con Maria Nella Dell’Orbo CEO e Rider del DO Dressage.

Maria Nella Dell’Orbo, amazzone italiana e trainer di dressage, ha fatto del suo amore per i cavalli e della sua passione per l’equitazione una carriera internazionale di successo. Originaria di Vigevano, con radici nelle Marche, ha intrapreso un percorso che l’ha portata a diventare una figura di riferimento nel dressage. Dalla laurea in Sociologia alla formazione in Irlanda e Regno Unito, fino alla creazione del progetto DO Dressage, Maria  condivide la sua filosofia basata sul rispetto per i cavalli, la crescita personale e la continua ricerca dell’eccellenza. In questa intervista, ci racconta il suo straordinario viaggio, le sfide affrontate, i successi ottenuti e i sogni che ancora la guidano.

  1. Può raccontarci qualcosa delle sue origini in Italia e di come è iniziata la sua passione per il dressage? Di origini lombarde, nata a Vigevano, sono cresciuta tra la pianura padana e le verdi colline marchigiane, che mi hanno permesso di vivere a stretto contatto con la natura e gli animali, in completa libertà. Mi sono laureata in Sociologia all’Università di Urbino, un percorso che mi ha dato l’opportunità di approfondire gli aspetti psico-pedagogici utili nel training di cavalli e cavalieri. Fin da bambina, i cavalli mi hanno affascinata con la loro aura magica, e montarli è sempre stato per me un modo per entrare in sintonia con loro. Ho iniziato presto a cavalcare regolarmente, sperimentando le tre discipline olimpiche e lavorando con cavalli di diverse tipologie, come purosangue, point to pointers e trottatori con il sulky. Ho anche vissuto l’ambiente unico delle scuderie di caccia a cavallo. Il dressage, però, ha sempre avuto un fascino speciale. Per me non è solo uno sport, ma un’arte che combina musica, danza, filosofia e atletismo, permettendomi di passare molto tempo all’aria aperta. Perfetto per il mio spirito.
  2. Qual è stata la motivazione principale che l’ha portata a trasferirsi all’estero? La cultura equestre che mi circondava non mi era mai sembrata sufficiente. Ero spinta dal desiderio di approfondire tutti gli aspetti legati alla cura e alla gestione dei cavalli, andando oltre il loro addestramento. Mi affascinava apprendere dalle giovani groom inglesi, abilissime nella gestione quotidiana dei cavalli, e scoprire il sistema educativo della British Horse Society (BHS), un modello strutturato e rigoroso. Quale luogo migliore per esplorare queste tradizioni se non Irlanda e Inghilterra, paesi con una cultura equestre così radicata e completa? Inoltre, il quotidiano utilizzo della lingua inglese avrebbe rappresentato un ulteriore vantaggio. Il trasferimento in Irlanda è stato il mio primo passo concreto in questa direzione. Qui ho iniziato a costruire la mia carriera, acquisendo competenze sia pratiche che teoriche. Ho sostenuto gli esami BHS e ottenuto la mia prima qualifica come istruttore di livello 1: BHS AI. Successivamente, mi sono trasferita nel Regno Unito, dove ho proseguito il mio percorso formativo fino a conseguire la qualifica di Performance Dressage Coach BHSI (livello3). Per essere completamente autosufficiente, ho preso la patente C e il certificato di “Travelling Groom,” che mi autorizza a viaggiare con i cavalli sui camion. Ho anche avuto l’opportunità di imparare a raspare gli zoccoli dei miei cavalli non ferrati, grazie ai miei maniscalchi, i Casserly, pluripremiati a livello internazionale e nazionale. In Irlanda, inoltre, ho iniziato a occuparmi della riparazione del materiale di selleria, una competenza che ho perfezionato nel Regno Unito. C’è chi fa la maglia, io riparo il cuoio
  3. Quali sono stati i tuoi maggiori successi a livello agonistico fino ad oggi? Come amazzone, i traguardi più significativi sono stati rappresentare l’Italia in CDI e avere l’opportunità di montare in Grand Prix. Come coach e trainer, il mio obiettivo è sempre stato offrire ai cavalli la possibilità di esprimersi al meglio delle loro potenzialità atletiche, preservando al contempo il loro entusiasmo e la loro voglia di lavorare. Per me è fondamentale che i cavalli, sia a livello di base che in Grand Prix, non si stanchino mai di avermi in sella, mantenendo un atteggiamento sereno e collaborativo.
  4. Quali sono stati i cavalli più importanti per te ? C’è un cavallo con cui hai avuto un legame speciale? Tutti i cavalli con cui ho avuto il privilegio di lavorare, sia come cavaliere che come istruttore, sono stati speciali e mi hanno arricchito profondamente. Anche i più umili cavalli di scuola hanno avuto un ruolo importante nel mio percorso. Tuttavia, Stella SI, che mi ha seguito durante la mia esperienza in Irlanda, e Allés of Nicks KWPN, che è ancora con me, sono stati davvero fondamentali per la mia formazione professionale e personale. Hanno lasciato un segno indelebile, aiutandomi a crescere non solo come professionista ma anche come persona. Mi hanno reso migliore.
  5. Qual è la sua filosofia nel dressage? C’è un aspetto particolare di questa disciplina che ama trasmettere ai suoi allievi o collaboratori? Il valore che metto sopra ogni cosa è il rispetto per il cavallo. Non è qualcosa che vale solo per il dressage, ma per ogni aspetto della relazione con loro. I cavalli sono animali straordinariamente generosi, spesso accondiscendenti a tutte le nostre richieste. Purtroppo, questa disponibilità viene troppo spesso abusata, portando a cavalli resi immontabili o addirittura pericolosi. Nel mio approccio, cerco sempre di mantenere i miei cavalli curiosi e motivati, desiderosi di lavorare con me. Preferisco chiedere un po’ meno piuttosto che spingere oltre il limite. Voglio che finiscano ogni sessione pensando: “Tutto qui? Non era poi così difficile!”. Lo stesso principio lo applico anche con i miei allievi: incoraggiare senza mai esigere troppo. Essere fiduciosi nelle proprie capacità è fondamentale, sia per i cavalli che per i cavalieri. Come diciamo in Inghilterra: “less is more”—un motto che trovo perfetto. Un altro messaggio che voglio trasmettere, soprattutto ai miei allievi o a chiunque pensi che sia “troppo tardi”, è che l’età non conta (“âge doesn’t count”). Ho attraversato decenni di esperienze: dai trottatori ai cavalli giovani, dalla riabilitazione dei cavalli problematici al salto ostacoli, fino al lavoro come groom rider per completisti olimpionici e dressagisti internazionali. A 50 anni, avevo ancora un sogno irrealizzato: montare in Grand Prix e farlo a livello internazionale. Non avevo molte speranze, ma non ho mai mollato. E ora eccomi qui: cavaliere FEI e di Grand Prix. Provo ogni giorno che, con determinazione e rispetto per i propri sogni, tutto è possibile.
  6. Lei è CEO e Rider del DO Dressage, un progetto che unisce passione, professionalità e visione. Può raccontarci di più su questo team e sulla scuderia? Quali sono i valori e gli obiettivi che caratterizzano il DO Dressage? Il team DO Dressage è nato grazie a mia moglie Kate, che ha avuto l’idea di professionalizzare ciò che già stavo facendo quotidianamente, dando una struttura alla mia carriera di amazzone. Questo progetto si è rivelato fondamentale per consolidare i principi etici e gli obiettivi che volevamo raggiungere insieme. Il benessere e la cura dei cavalli sono sempre stati il nostro pilastro. Non li sacrifichiamo mai, neppure per una gara. Credo fermamente nell’importanza di mettere i cavalli al pascolo quotidianamente per il loro equilibrio fisico e mentale. In natura, il cavallo è un erbivoro che passa tre quarti della giornata a pascolare, e cerchiamo di rispettare questa loro inclinazione naturale. Se un giorno, per qualsiasi motivo, un cavallo è costretto a restare in box, il giorno successivo rinuncio al lavoro montato, dando priorità al tempo al pascolo. Oltre ai cavalli, un ruolo centrale è svolto dallo staff, che consideriamo parte della nostra “grande famiglia”. Trattiamo ciascun membro del team con il rispetto che merita, promuovendo un ambiente di apprendimento e crescita. La nostra missione è chiara: vogliamo trasmettere competenze e fiducia al nostro staff, rendendolo sempre più professionale grazie a un’esperienza pratica e teorica approfondita sulla gestione quotidiana di cavalli e scuderie. L’educazione e il supporto sono al centro del nostro approccio. Incoraggiamo i nostri collaboratori a fare domande, chiarire dubbi e confrontarsi apertamente. Non esistono domande sciocche o banali: ogni richiesta è accolta con serietà e rispetto. Il nostro obiettivo è che ogni membro dello staff, al termine del suo percorso con noi, se ne vada con una professionalità maggiore e un’esperienza arricchente rispetto a quando ha iniziato.
  7. C’è un consiglio che darebbe ai giovani cavalieri italiani che vogliono intraprendere questa strada dell’estero? Per chiunque desideri intraprendere un’esperienza all’estero nel mondo dell’equitazione, consiglio di partire con una minima base di inglese e, soprattutto, di avere il coraggio e l’umiltà di immergersi in una nuova cultura. È fondamentale essere aperti e disponibili ad apprendere, senza dare mai nulla per scontato.Non bisogna aver paura di fare domande: chiedere chiarimenti, anche sui dettagli più piccoli, è un segno di intelligenza e curiosità. Questa regola vale sempre, anche dopo 30 anni di esperienza!
  8. C’è un obiettivo o un sogno particolare che spera ancora di raggiungere, sia personalmente che professionalmente? Come cavaliere, il mio obiettivo è montare con sempre maggiore raffinatezza, cercando di rendere ogni cavallo “facile” e piacevole da montare. Vorrei rappresentare la mia nazione in molte altre gare internazionali. Come coach, il mio desiderio è aiutare i binomi a raggiungere alti livelli, ottenendo risultati importanti grazie a cavalli che si dimostrano volenterosi, attenti e morbidi, sempre montati nel rispetto delle loro capacità fisiche e mentali. Personalmente, il sogno più grande sarebbe montare in un campo olimpico. Non so se rimarrà solo un sogno, ma è sicuramente quello che mi ha spinto a raggiungere il punto in cui sono oggi.

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