Italiani all’estero : a tu per tu con Ludovica Gallotti
Determinazione, amore per i cavalli e voglia di migliorarsi continuamente: questa è Ludovica Gallotti, una giovane amazzone italiana che ha trovato la sua strada nel mondo del dressage. Partita dall’Italia con il desiderio di apprendere dai migliori, il suo viaggio l’ha portata prima in Danimarca e poi in Olanda, dove ha avuto l’opportunità di lavorare con trainer di altissimo livello e sviluppare un approccio al cavallo completamente rinnovato.
- Ci racconti un po’ di te: Da quanto tempo pratichi equitazione? Come ti sei avvicinata al mondo del dressage? Cosa ti ha spinto a scegliere il dressage come disciplina principale? Ho iniziato a montare a cavallo a 9 anni. Nella scuderia più vicina a casa si praticava reining, e così è cominciata la mia carriera equestre come cowgirl . Per me, la cosa più importante era – e rimane tuttora – stare in mezzo ai cavalli; il “come” all’epoca non mi interessava più di tanto.Dalla monta americana sono passata al completo, ed è stato allora che ho scoperto il dressage. Credo di essermene innamorata definitivamente guardando il freestyle ai Mondiali del 2006 ad Aachen. È stato in quel momento che ho scelto il dressage: ciò che più mi affascina è pensare che non ci siano limiti al miglioramento. Certo, ci sono cavalli più o meno talentuosi, con andature più o meno belle, ma sono convinta che ogni cavallo possa sempre crescere e migliorare. Questo aspetto mi ispira profondamente.
- Quali sono stati i tuoi maggiori successi a livello agonistico fino ad oggi? Non credo di poter dire di aver ancora raggiunto grandi successi agonistici. Certo, montare i 5 e i 6 anni in Danimarca e condividere il campo prova con cavalieri come Nanna Merrald, Cathrine Dufour e altri è stato emozionante. Tuttavia, da quando mi sono trasferita all’estero, le gare non sono state il mio obiettivo principale. Appena arrivata da Morten Thomsen, mi sono resa conto dell’immensità di ciò che ancora dovevo imparare. Da allora, mi sono concentrata sul migliorare e sull’assorbire quanto più possibile da quello che considero uno dei più grandi uomini di cavalli del nostro tempo. Questo percorso mi ha portato a cambiare prospettiva: prima ero focalizzata solo sul risultato e sulle gare, mentre ora trovo più soddisfazione nel godermi il viaggio insieme a un cavallo. Mi piace insegnargli qualcosa di nuovo ogni giorno e, passo dopo passo, avvicinarmi sempre di più al gran premio.
- Quali sono stati i cavalli più importanti per te ? C’è un cavallo con cui hai avuto un legame speciale? Molti cavalli occupano un posto speciale nel mio cuore. Tra tutti, Wenja, la cavalla di Anette Illum, ha un significato particolare: senza di lei, probabilmente avrei smesso di montare anni fa. Tuttavia, il cavallo con cui ho il legame più profondo è il mio, Dante. È il cavallo più difficile che abbia mai montato, posseduto e gestito – un cavallo che ogni giorno ti mette a nudo, costringendoti a confrontarti con te stesso. In generale, credo che i cavalli più importanti per me siano quelli che, con le loro difficoltà e insicurezze, mi hanno spinta a migliorarmi. Sono stati loro a insegnarmi che, per trovarne la chiave e comprenderli davvero, devi essere disposto a crescere e cambiare.
- Hai accumulato molta esperienza all’estero tra Danimarca e Olanda . Ti andrebbe di raccontarci le tue diverse esperienze e cosa hai imparato da ciascuna di esse? Da quando ho lasciato l’Italia, la mia visione sul dressage, sul cavallo e sulla sua gestione è completamente cambiata. Con Morten ho scoperto un mondo nuovo: il lavoro da terra, il piaffe, e un sistema di training strutturato in modo semplice ed efficace per offrire a ogni cavallo la migliore opportunità di esprimere il proprio potenziale. Prima di arrivare da lui, non avevo idea di cosa significasse davvero “horsemanship” né di quanto fosse importante creare cavalli sicuri di sé. Ho imparato a fornire loro basi solide e strumenti per sentirsi a proprio agio in qualsiasi situazione, e questo ha trasformato il mio approccio al lavoro e al rapporto con loro.
- Le tue esperienze internazionali ti avranno sicuramente permesso di sviluppare una visione personale sulle differenze di approccio alla disciplina del dressage tra l’Italia e paesi come l’Olanda e la Germania. Quali sono, secondo te, le differenze principali che hai riscontrato? Credo che la differenza principale tra l’Italia e paesi come la Danimarca o l’Olanda stia nella cultura del dressage e, più in generale, nel rapporto con il cavallo. In Italia, questa cultura è meno radicata e sviluppata. Qui la gestione del cavallo è completamente diversa: viene trattato sia come un animale sia come un atleta, con un approccio che tiene conto delle sue necessità fisiche e mentali. Penso che tutto questo sia il risultato di diversi fattori: la disponibilità di ampi spazi, la qualità e la quantità dei cavalli presenti, e la possibilità di accedere a cavalieri e trainer di alto livello nel raggio di pochi chilometri.
- Quali sono i tuoi obiettivi principali per il futuro? Ci sono competizioni o eventi in cui sogni di partecipare? Il mio sogno sono le Olimpiadi, ma l’obiettivo più importante per me è diventare la miglior versione di me stessa in sella e portare i miei due cavalli al livello del Gran Premio. Da lì, come ripeto sempre, step by step.
- Che consiglio daresti a un giovane o a una giovane che sogna di fare carriera nel dressage? Di lavorare sodo, mantenere l’umiltà e scegliere un posto dove poter imparare con un buon trainer. Consiglio di tenere sempre occhi e orecchie aperti, assorbendo tutto come una spugna.
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